
Parliamo dei temi delle vostre canzoni. Il calcio ad esempio è molto presente nelle vostre canzoni e avete ospitato Paolo Pulici, uno degli idoli del Toro, sul palco con voi. Che cosa rappresenta il calcio per voi?
Siamo gente del popolo, come si dice, e il calcio è un fenomeno popolare. La passione coinvolge il senso d'appartenenza; il tifo per una squadra di calcio permette di sentirti parte di un qualche cosa che diventa importante nel momento in cui comincia la partita, lo spettacolo: uno spettacolo atletico e sportivo, collegato a quello della partecipazione dei tifosi.
Quali sono per voi gli aspetti più belli del tifo?
Il bello di andare in trasferta, andare in altre città, incontrarsi e conoscersi: questo è un fenomeno bellissimo a nostro parere e ci coinvolge veramente molto.
Ultimamente c'è una forte repressione nei confronti dei tifosi organizzati proprio perché si tende a far rimanere a casa i tifosi a guardare le partite in pay-tv, il calcio spezzatino: si comincia venerdì si finisce lunedì, ed è un grosso peccato perché noi crediamo molto nel rito della domenica pomeriggio, nella condivisione fra tutti i tifosi, quelli più giovani con quelli più anziani.
Le trasferte, il pranzo… sono cose che veramente per tanti anni hanno alimentato la domenica della gente normale, della gente popolare come noi e che adesso ci stanno portando via.
In canzoni come "Controcalcio" vi schierate proprio contro questi cambiamenti, contro quello che viene definito il calcio moderno, in cui vedete prevalere gli interessi commerciali sulla passione sportiva.
Sì, un calcio che non è più a misura d'uomo, dove ci sono tre o quattro squadre, cinque al massimo, che hanno maggior visibilità e le altre sono delle sparring partner, che servono per far giocare questi squadroni.
Invece mancano le realtà locali, l'importanza del calcio di provincia, le squadre un po'minori rispetto agli squadroni, la bellezza di avere delle squadre con una forte identità: da uno a undici con qualche riserva, non una squadra di ventidue elementi.
Quella misura d'uomo che permetteva d'identificarsi col più totale coinvolgimento con quella che era la tua squadra del cuore.
Parliamo dunque del tifo organizzato. Per voi che lo vivete dunque, che cos'è davvero il tifo ultras?
È un modo di vivere il calcio con un forte senso d'appartenenza, radicato in quella che è la tua tradizione locale, la tua famiglia, è molto importante anche quello: il padre e il figlio, l'identificazione che hai nella tua squadra di calcio, il far parte di un qualcosa, la condivisione appunto.
Avere un avversario che però rispetti con lealtà, la mentalità di quello che dovrebbe essere lo sport portata nel tifo: questo è il significato dell'essere ultras, di quando si parla di mentalità ultras.
Come vedi gli episodi di violenza da parte di tifosi organizzati?
Ovviamente, come in tutti i campi della nostra società e del nostro sistema, ci sono, diciamo così, schegge impazzite, oppure c'è la mercificazione o c'è la strumentalizzazione da parte vuoi talvolta della malavita vuoi talvolta dalla politica. Ci possono sempre essere ovviamente, fa parte del sistema, il calcio poi è un fenomeno molto esposto.
Ci può sempre essere una contaminazione negativa di un grosso fenomeno ma sicuramente, come abbiamo sempre sostenuto, oggi più che mai, il tifo ultras è la parte più pulita del calcio.
Voi avete dedicato "È Già Domenica" a Gabriele Sandri e "Un Ragazzo Come Me" a Matteo Bagnaresi. Come avete interpretato gli episodi tragici che li hanno riguardati?
Non si può certo parlare di queste due morti come violenza collegata al calcio. Gabriele è stato assassinato nel modo che sappiamo, Matteo è stato investito da un pullman in una stazione di servizio, quindi non c'entrano niente con quello che viene ricondotto alla violenza tra gruppi organizzati. Questi fatti a mio parere parlano da soli. Ciò che accomunava Gabriele e Matteo era il fatto di andare in trasferta a seguire la propria squadra del cuore, nient'altro.
Voi avete anche suonato per tifoserie di squadre diverse: è questa comunanza di visione sul calcio che permette di trovare tra tifosi avversari un punto d'incontro?
Sì, questa infatti è la migliore dimostrazione che certi valori vanno al di sopra della rivalità sportiva. Prova del fatto che siamo stati invitati a suonare, per esempio, addirittura anche per tifosi del Brescia, con i quali abbiamo sempre avuto una fortissima rivalità, eppure ci hanno invitati a suonare per la loro celebrazione con un'accoglienza calorosissima: c'hanno trattati non da amici, di più, e questo dimostra che lo spirito del tifoso ultras è quello della lealtà e della mentalità da avversari, non da nemici.
Questa è una cosa molto bella e permette veramente d'incarnare lo spirito dello sport; lo sport si vede più sugli spalti, tranne giornalisti, osservatori e compagnia bella, che non sul terreno di gioco.
Un altro tema molto presente nelle vostre canzoni è quello dell'impegno sia sociale che politico.
Sul disco c'è una serie di canzoni come "Alta Velocità", "In Fabbrica"-scritto insieme ai Gang.
Certo, ce ne sono, ad esempio ci sono anche "È Tornato Garibaldi" oppure "Vattene Sceriffo", contro l'imperialismo americano e di ogni tipo.
Fermo restando che siamo perfettamente consci del fatto che con una canzone non si può cambiare il mondo, lo stato delle cose, crediamo però che possa essere utile fare riflettere e sensibilizzare chi ci ascolta. Parliamo comunque di argomenti per noi sempre tangibili, concreti, non ci riempiamo la bocca di parole retoriche perché fa tanto bello fare i ribelli per poi essere assorbiti dal sistema.
In "Ghetto" parlate di chi vive in quartieri difficili.
Noi siamo della classe proletaria, raccontiamo quello che viviamo tutti i giorni: la lotta contro l'alta velocità, il diritto al lavoro non precario e non sotto il ricatto dei padroni, le metropoli e i disagi metropolitani, o il fatto che in Italia non ci debba essere razzismo, che debba essere unita e multietnica.
Sono tutte cose che viviamo in prima persona e delle quali siamo profondamente convinti e sostenitori e quindi, così come lo siamo nella vita, lo siamo quando cantiamo.
"I Campioni Siamo Noi" era dedicata agli operai della Fiat.
Sì, e quando l'abbiamo fatta non avevamo ancora visto tutto perché eravamo nel 2001, adesso è ancora peggio. Loro che non ne erano responsabili hanno pagato sulla loro pelle la mala gestione della Fiat.
Siamo gente del popolo, come si dice, e il calcio è un fenomeno popolare. La passione coinvolge il senso d'appartenenza; il tifo per una squadra di calcio permette di sentirti parte di un qualche cosa che diventa importante nel momento in cui comincia la partita, lo spettacolo: uno spettacolo atletico e sportivo, collegato a quello della partecipazione dei tifosi.
Quali sono per voi gli aspetti più belli del tifo?
Il bello di andare in trasferta, andare in altre città, incontrarsi e conoscersi: questo è un fenomeno bellissimo a nostro parere e ci coinvolge veramente molto.
Ultimamente c'è una forte repressione nei confronti dei tifosi organizzati proprio perché si tende a far rimanere a casa i tifosi a guardare le partite in pay-tv, il calcio spezzatino: si comincia venerdì si finisce lunedì, ed è un grosso peccato perché noi crediamo molto nel rito della domenica pomeriggio, nella condivisione fra tutti i tifosi, quelli più giovani con quelli più anziani.
Le trasferte, il pranzo… sono cose che veramente per tanti anni hanno alimentato la domenica della gente normale, della gente popolare come noi e che adesso ci stanno portando via.
In canzoni come "Controcalcio" vi schierate proprio contro questi cambiamenti, contro quello che viene definito il calcio moderno, in cui vedete prevalere gli interessi commerciali sulla passione sportiva.
Sì, un calcio che non è più a misura d'uomo, dove ci sono tre o quattro squadre, cinque al massimo, che hanno maggior visibilità e le altre sono delle sparring partner, che servono per far giocare questi squadroni.
Invece mancano le realtà locali, l'importanza del calcio di provincia, le squadre un po'minori rispetto agli squadroni, la bellezza di avere delle squadre con una forte identità: da uno a undici con qualche riserva, non una squadra di ventidue elementi.
Quella misura d'uomo che permetteva d'identificarsi col più totale coinvolgimento con quella che era la tua squadra del cuore.
Parliamo dunque del tifo organizzato. Per voi che lo vivete dunque, che cos'è davvero il tifo ultras?
È un modo di vivere il calcio con un forte senso d'appartenenza, radicato in quella che è la tua tradizione locale, la tua famiglia, è molto importante anche quello: il padre e il figlio, l'identificazione che hai nella tua squadra di calcio, il far parte di un qualcosa, la condivisione appunto.
Avere un avversario che però rispetti con lealtà, la mentalità di quello che dovrebbe essere lo sport portata nel tifo: questo è il significato dell'essere ultras, di quando si parla di mentalità ultras.
Come vedi gli episodi di violenza da parte di tifosi organizzati?
Ovviamente, come in tutti i campi della nostra società e del nostro sistema, ci sono, diciamo così, schegge impazzite, oppure c'è la mercificazione o c'è la strumentalizzazione da parte vuoi talvolta della malavita vuoi talvolta dalla politica. Ci possono sempre essere ovviamente, fa parte del sistema, il calcio poi è un fenomeno molto esposto.
Ci può sempre essere una contaminazione negativa di un grosso fenomeno ma sicuramente, come abbiamo sempre sostenuto, oggi più che mai, il tifo ultras è la parte più pulita del calcio.
Voi avete dedicato "È Già Domenica" a Gabriele Sandri e "Un Ragazzo Come Me" a Matteo Bagnaresi. Come avete interpretato gli episodi tragici che li hanno riguardati?
Non si può certo parlare di queste due morti come violenza collegata al calcio. Gabriele è stato assassinato nel modo che sappiamo, Matteo è stato investito da un pullman in una stazione di servizio, quindi non c'entrano niente con quello che viene ricondotto alla violenza tra gruppi organizzati. Questi fatti a mio parere parlano da soli. Ciò che accomunava Gabriele e Matteo era il fatto di andare in trasferta a seguire la propria squadra del cuore, nient'altro.
Voi avete anche suonato per tifoserie di squadre diverse: è questa comunanza di visione sul calcio che permette di trovare tra tifosi avversari un punto d'incontro?
Sì, questa infatti è la migliore dimostrazione che certi valori vanno al di sopra della rivalità sportiva. Prova del fatto che siamo stati invitati a suonare, per esempio, addirittura anche per tifosi del Brescia, con i quali abbiamo sempre avuto una fortissima rivalità, eppure ci hanno invitati a suonare per la loro celebrazione con un'accoglienza calorosissima: c'hanno trattati non da amici, di più, e questo dimostra che lo spirito del tifoso ultras è quello della lealtà e della mentalità da avversari, non da nemici.
Questa è una cosa molto bella e permette veramente d'incarnare lo spirito dello sport; lo sport si vede più sugli spalti, tranne giornalisti, osservatori e compagnia bella, che non sul terreno di gioco.
Un altro tema molto presente nelle vostre canzoni è quello dell'impegno sia sociale che politico.
Sul disco c'è una serie di canzoni come "Alta Velocità", "In Fabbrica"-scritto insieme ai Gang.
Certo, ce ne sono, ad esempio ci sono anche "È Tornato Garibaldi" oppure "Vattene Sceriffo", contro l'imperialismo americano e di ogni tipo.
Fermo restando che siamo perfettamente consci del fatto che con una canzone non si può cambiare il mondo, lo stato delle cose, crediamo però che possa essere utile fare riflettere e sensibilizzare chi ci ascolta. Parliamo comunque di argomenti per noi sempre tangibili, concreti, non ci riempiamo la bocca di parole retoriche perché fa tanto bello fare i ribelli per poi essere assorbiti dal sistema.
In "Ghetto" parlate di chi vive in quartieri difficili.
Noi siamo della classe proletaria, raccontiamo quello che viviamo tutti i giorni: la lotta contro l'alta velocità, il diritto al lavoro non precario e non sotto il ricatto dei padroni, le metropoli e i disagi metropolitani, o il fatto che in Italia non ci debba essere razzismo, che debba essere unita e multietnica.
Sono tutte cose che viviamo in prima persona e delle quali siamo profondamente convinti e sostenitori e quindi, così come lo siamo nella vita, lo siamo quando cantiamo.
"I Campioni Siamo Noi" era dedicata agli operai della Fiat.
Sì, e quando l'abbiamo fatta non avevamo ancora visto tutto perché eravamo nel 2001, adesso è ancora peggio. Loro che non ne erano responsabili hanno pagato sulla loro pelle la mala gestione della Fiat.
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