Vorrei sentire la tua voce gridare, tentare, sbagliare…

“Era un ragazzo di così buona famiglia”, si sente dire con sottofondo di campane a morto. A volte anche dalla famiglie migliori vengono fuori individui legati indissolubilmente a un’idea, per la quale sono pronti a gridare, tentare e sbagliare a prescindere. Le famiglie migliori, anzi, sono proprio quelle che pompano nel cuore della nostra società, svuotata e rassegnata, i loro figli cresciuti così. In ogni ambito, i gendarmi del quieto vivere allungano sempre più i tentacoli della repressione. La curva Maratona conta ormai decine di diffidati per motivi (motivi?) incomprensibili, al di là di ogni logica e giustizia: ce n’è per chi ha cercato di afferrare la maglietta di un giocatore a fine partita, per chi ha acceso una torcia lontanissimo dallo stadio, per chi si è attardato a fare quattro chiacchere tra i tornelli e gli ingressi, per chi è stato “visto” in una zona dove non avrebbe dovuto essere (tanto, 50 metri più in qua o più in là significano solo due anni di firma ogni domenica). Il continuo inasprimento delle leggi sulla violenza nel calcio ha appiattito ogni differenza tra ultras e semplice tifoso. L’Athletic Daspo granata è formato da ultras che orgogliosamente rivendicano le loro azioni e le loro turbolenze, ma anche da una notevole quantità di tifosi che – da un giorno all’altro – si è trovata sbattuta in un labirinto di denunce, interrogatori, avvocati, aule di tribunale. La fede comune di tutte queste persone è il Toro; la famiglia comune di tutte queste persone è la Maratona.
…Non sopporto più di vederti morire ogni giorno, innocuo e banale
Al 24enne è stata confermata la condanna a 11 anni. Insieme ad Antonino Speziale, condannato a 14 anni dal tribunale dei minori, fu ripreso mentre reggeva il sottolavello in acciaio che colpì e uccise l'ispettore di polizia durante Catania-Palermo del 2 febbraio 2007.
Daniele Micale, 24 anni


CATANIA - La Corte d'assise d'appello di Catania ha confermato la condanna a 11 anni di reclusione per Daniele Micale, il 24enne imputato per l'omicidio dell'ispettore capo di polizia Filippo Raciti, morto duranti gli scontri con ultras etnei nel derby di calcio con il Palermo del 2 febbraio 2007 allo stadio Massimino. Micale in primo grado, il 22 marzo del 2010, era stato condannato alle stessa pena per omicidio preterintenzionale e resistenza a pubblico ufficiale. Per concorso in omicidio il Tribunale per i minorenni, il 9 febbraio del 2010, aveva già comminato 14 anni di reclusione a Antonino Speziale, all'epoca non ancora maggiorenne. Il processo d'appello per Speziale è in corso.

FELPA NERA. Micale era in aula alla lettura della sentenza ed è esploso in lacrime. “È lo sfogo per la rabbia di chi è stato condannato sapendo di essere innocente”, hanno commentato i suoi legali, gli avvocati Mimmo Cannavò e Eugenio De Luca che hanno annunciato ricorso in Cassazione. Micale era stato arrestato il primo aprile del 2008 dalla polizia per concorso nell'omicidio dell'ispettore di polizia. Era stato scarcerato il 20 giugno successivo dalla quinta sezione penale del Tribunale del riesame di Catania. Alla sua identificazione la polizia era giunta attraverso un indumento: una felpa nera, personalizzata, con la scritta “Meglio diffidato che servo dello Stato” accanto all’effigie che riproduce un elefante color rosso-azzurro e alla scritta bianca con la dicitura Ultras.

FRATELLO GEMELLO. È stato l'elemento determinante a “scagionare” il fratello gemello dell'indagato, Antonio, che era al Massimino, ma non indossava quella felpa. L'imputato si è sempre riconosciuto nelle immagini del sistema televisivo che lo riprende mentre assieme a Antonino Speziale ha in mano un sottolavello. Ma Micale ha sempre ribadito di essersi “sostanzialmente limitato ad appoggiare la mano sul pezzo di lamiera” che “teneva una persona” a lui sconosciuta, di “essersi distratto alla ricerca con lo sguardo di un amico” che era con lui e quindi di “non avere visto se ci fossero stati contatti con le forze dell'ordine”.

TG1, 22 ottobre
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