Vorrei sentire la tua voce gridare, tentare, sbagliare…
“Era un ragazzo di così buona famiglia”, si sente dire con sottofondo di campane a morto. A volte anche dalla famiglie migliori vengono fuori individui legati indissolubilmente a un’idea, per la quale sono pronti a gridare, tentare e sbagliare a prescindere. Le famiglie migliori, anzi, sono proprio quelle che pompano nel cuore della nostra società, svuotata e rassegnata, i loro figli cresciuti così. In ogni ambito, i gendarmi del quieto vivere allungano sempre più i tentacoli della repressione. La curva Maratona conta ormai decine di diffidati per motivi (motivi?) incomprensibili, al di là di ogni logica e giustizia: ce n’è per chi ha cercato di afferrare la maglietta di un giocatore a fine partita, per chi ha acceso una torcia lontanissimo dallo stadio, per chi si è attardato a fare quattro chiacchere tra i tornelli e gli ingressi, per chi è stato “visto” in una zona dove non avrebbe dovuto essere (tanto, 50 metri più in qua o più in là significano solo due anni di firma ogni domenica). Il continuo inasprimento delle leggi sulla violenza nel calcio ha appiattito ogni differenza tra ultras e semplice tifoso. L’Athletic Daspo granata è formato da ultras che orgogliosamente rivendicano le loro azioni e le loro turbolenze, ma anche da una notevole quantità di tifosi che – da un giorno all’altro – si è trovata sbattuta in un labirinto di denunce, interrogatori, avvocati, aule di tribunale. La fede comune di tutte queste persone è il Toro; la famiglia comune di tutte queste persone è la Maratona. …Non sopporto più di vederti morire ogni giorno, innocuo e banale
venerdì 16 settembre 2011
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di Gianni Santucci
Contro la tessera del tifoso.Senza timore di essere accostati a ultras, violenti, facinorosi e via dicendo (ammesso, e non concesso, che siano il male assoluto del calcio italiano come qualcuno in malafede vorrebbe far credere). Allora, la tessera: prendete un uomo di 67 anni, romanista, residente a Roma, che sabato sera vorrebbe venire a Milano a vedere la partita contro l’Inter. Semplice: non può. A meno di non sottoscrivere la tessera del tifoso e piegarsi a fare il viaggio per andare poi a sistemarsi nella «piccionaia» di San Siro, dietro una rete/gabbia, al terzo anello, con gli ultras. Altri biglietti, più costosi e più comodi, non può acquistarli. La legge lo vieta. Non potrebbe comunque, anche se fosse tesserato. «Piccionaia» o a casa. D’accordo, i dati del Viminale dicono che la violenza è diminuita. Ma gli effetti collaterali chi li considera? Nessuno. Se ne fregano tutti, perché quell’attempato tifoso giallorosso, pensionato, pacifico e (meglio specificare) incensurato, la partita se la guarderà in televisione. E va bene così. Anzi, probabilmente per qualcuno è anche meglio. Cose del genere succedono in tutti gli stadi d’Italia, tutte le domeniche. Degenerazione legalitaria che colpisce obiettivi sbagliati e preclude le trasferte anche a chi mai ha fatto, e mai farà, qualcosa di sbagliato dentro uno stadio. Roba da andare in bestia davvero. Perché non siamo sportivi. Siamo tifosi. E per i tifosi la trasferta è vitale. Corriere della Sera, 16 settembre
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