Vorrei sentire la tua voce gridare, tentare, sbagliare…

“Era un ragazzo di così buona famiglia”, si sente dire con sottofondo di campane a morto. A volte anche dalla famiglie migliori vengono fuori individui legati indissolubilmente a un’idea, per la quale sono pronti a gridare, tentare e sbagliare a prescindere. Le famiglie migliori, anzi, sono proprio quelle che pompano nel cuore della nostra società, svuotata e rassegnata, i loro figli cresciuti così. In ogni ambito, i gendarmi del quieto vivere allungano sempre più i tentacoli della repressione. La curva Maratona conta ormai decine di diffidati per motivi (motivi?) incomprensibili, al di là di ogni logica e giustizia: ce n’è per chi ha cercato di afferrare la maglietta di un giocatore a fine partita, per chi ha acceso una torcia lontanissimo dallo stadio, per chi si è attardato a fare quattro chiacchere tra i tornelli e gli ingressi, per chi è stato “visto” in una zona dove non avrebbe dovuto essere (tanto, 50 metri più in qua o più in là significano solo due anni di firma ogni domenica). Il continuo inasprimento delle leggi sulla violenza nel calcio ha appiattito ogni differenza tra ultras e semplice tifoso. L’Athletic Daspo granata è formato da ultras che orgogliosamente rivendicano le loro azioni e le loro turbolenze, ma anche da una notevole quantità di tifosi che – da un giorno all’altro – si è trovata sbattuta in un labirinto di denunce, interrogatori, avvocati, aule di tribunale. La fede comune di tutte queste persone è il Toro; la famiglia comune di tutte queste persone è la Maratona.
…Non sopporto più di vederti morire ogni giorno, innocuo e banale
venerdì 30 settembre 2011 |

Ivan Bogdanov è recluso nel carcere di Smederevo. L'uomo che guidò gli ultras serbi negli incidenti di Marassi dell'ottobre scorso questa volta non sarà un problema: da quando, a fine maggio, le autorità italiane lo estradarono a Belgrado dopo averlo condannato a tre anni e tre mesi, Ivan il Terribile è sotto chiave e chissà quando si potrà riavvicinare al Maracanà, lo stadio della Stella Rossa di cui è tifoso e dove venerdì prossimo si giocherà Serbia-Italia. È ovvio che il problema della sicurezza non si esaurisce con lui. Altri hanno preso il suo posto nel movimento che dietro la passione per il calcio nasconde istanze nazionaliste e politiche indipendenti dal calcio. Belgrado rimane una città a rischio. Il match ha il bollino rosso, Platini ne ha parlato l'altro ieri con il ministro serbo, Snezana SamardzicMarkovic. «Siete sotto l'occhio vigile dell'Uefa», le ha ricordato e tutti sanno che al minimo incidente scatterà un sanzione pesantissima.

La Serbia rischia di finire ai margini del calcio europeo proprio quando è a un passo dal possibile spareggio per Euro 2012: basterebbe la vittoria con l'Italia oppure martedì in Slovenia a completare con successo la rincorsa al secondo posto che molti giudicavano impossibile dopo una falsa partenza e la sconfitta a tavolino con gli azzurri. Per la Federcalcio di Belgrado è come vivere con la consapevolezza di essere in ostaggio. Ha cercato la strada della persuasione. «Invitiamo tutti ad aderire al codice del fair play - dichiara Aleksandar Boskovic, il capo ufficio stampa - I nostri tifosi devono dimostrare all'Europa e all'Uefa che da noi si va allo stadio per gustarsi il calcio e nient'altro». Più che un appello, un atto dovuto. La prevenzione passa per strade poliziesche. «Le teste calde sono sotto controllo», garantiscono i dirigenti della security serba.

Da Belgrado hanno chiesto aiuto all'Italia. Oggi vi arriverà Giancarlo Abete per firmare un protocollo di collaborazione e di amicizia con il collega serbo. «Questa volta l'intesa è stata molto forte ed è cominciata ad ottobre - spiega Roberto Massucci, il dirigente del Viminale che si occupa della sicurezza della Nazionale -. Ci sono state riunioni e un flusso di informazioni sia sugli elementi potenzialmente pericolosi sia sulle procedure da adottare». La Federcalcio italiana, su richiesta dei serbi, non ha messo a disposizione biglietti per i nostri tifosi. «Non significa che non ce ne saranno - ammette Massucci -, la vendita procede on line e in uno stadio pieno ogni scintilla può avere effetti disastrosi. Il dato positivo è che i serbi, a differenza degli sloveni, non nutrono astio per gli italiani. Anche a Genova si scatenarono per ragioni che non avevano niente a che fare con noi e con la partita».

Ce l'avevano con il loro portiere, approfittarono del palcoscenico per lanciare messaggi nazionalisti sul Kosoko. La situazione politica non è cambiata, il dissenso resta. È questo che impone di tenere alta l'attenzione anche se, con l'Italia già qualificata, la partita perde drammaticità. «Personalmente mi sento tranquillo - garantisce Cesare Prandelli -. Non credo che qualcuno sarà così pazzo da scatenare incidenti ed è vero che se fosse uno spareggio per la qualificazione, cioè o noi o loro, ci troveremmo forse in una situazione più incandescente». Mercoledì partirà per Belgrado una squadra di 4 o 5 esperti del Viminale con il compito di sorvegliare anche il ritiro degli azzurri. «La nostra presenza - spiega Massucci - avrà lo scopo di aiutare gli italiani coinvolti in situazioni pericolose, al resto penseranno i serbi». Che, a differenza di Prandelli, non sembrano tranquilli.

La Stampa, 30 settembre
Etichette:
Visit the Site
Athletic Daspo (A.D.) 2009, athleticdaspo@gmail.com; Tutto il materiale inserito è liberamente distribuibile se non modificato e se gentilmente citata la fonte.